martedì 4 ottobre 2011

Il viaggio psicoterapeutico


"La barca fatata" di John Anster Christian Fitzgerald (1832-1906)

 
"(...) Affinchè la psicoterapia sia efficiente è necessario un rapporto intimo
che costringa il terapeuta a non chiudere gli occhi, sulle altezze e le
profondità dell'umana sofferenza. Il rapporto consiste, dopo tutto, in un
raffronto costante e in una mutua comprensione, nella contrapposizione
dialettica di due realtà psichiche opposte. Se, per un qualsiasi motivo, queste
reciproche impressioni non si urtano fra loro, il processo terapeutico resta
inefficace, e non produce alcun cambiamento. Se il terapeuta e il paziente non
diventano un problema l'uno per l'altro, non si trova alcuna soluzione."
 
C.G. Jung 

Come sostiene Jung, l’incontro che si viene a creare tra terapeuta e paziente è “intimo”, vi è una prossimità e vicinanza tali, per cui i mondi emozionali di entrambi si incontrano e si scontrano.
Nello spazio immaginario “tra” il terapeuta ed il paziente si viene a creare così un luogo dove le emozioni e le riflessioni di entrambi possono “transitare”, ed è questo “passaggio” che fa iniziare il viaggio, che crea la strada da percorrere insieme.
Per dove? Nelle fasi iniziali del processo terapeutico, si “contratta” un possibile obiettivo da raggiungere. E’ una fase molto importante, segnata in genere da una richiesta di aiuto da parte del paziente.
Nell’acutezza del dolore e dello sperdimento si arriva ad un punto in cui sembra non si abbiano più le parole per definire e capire ciò che sta accadendo dentro, come se si fosse giunti ad un limite che non si riesce a superare da soli, oltre il quale parti interne restano oscure ed incomprensibili, come fossero abissi insondabili senza ponti che ne permettano il passaggio.
Quando ci si rivolge ad uno psicoterapeuta, il descrivere la propria storia crea un racconto che “genera emozioni” nel professionista, il quale inizia a fare ipotesi che via via confronterà con il paziente. Questo processo dialettico, crea una cornice dove il quadro apparentemente caotico della situazione iniziale si trasforma, ed emergono figure più definite, dettagli e significati che entrano a far parte della consapevolezza del paziente. Per esempio, degli attacchi di panico che gettano nello sconforto la persona per la loro irruenza ed imprevedibilità, possono avere un senso se si inizia ad esplorare quando sono iniziati e quando si presentano.
I sintomi, come i simboli e le immagini oniriche, hanno un linguaggio “altro” che è necessario decifrare per coglierne il messaggio. Con la loro presenza sembrano voler dire “sono qui per dirti che…”. I sintomi stanno “per qualcos’altro”. Per emozioni,, per esempio, che non si possono e vogliono più ascoltare, e pertanto cadono nell’inconscio, in quel luogo interno lontano che coscientemente non si sente. Eppure è proprio qui che esse acquisiscono un nuovo idioma, ed emergono sottoforma di sintomi.
Spesso l’inconscio è simboleggiato nelle fiabe dalla foresta oscura. In essa risiede solitamente “lo sconosciuto”, abitata da un “piccolo popolo” (elfi, fate, gnomi). Simbolicamente, è questo il luogo da attraversare per comprendere cosa accade alla persona sofferente, senza dimenticare i sentieri percorsi che riportano indietro, che permettono di entrare ed uscire, di esplorare e tornare più ricchi e consapevoli. Ed il nuovo che si è incontrato, quelle parti di se stessi dimenticate e sopite, integrate nella coscienza attraverso il lavoro terapeutico, partecipano alla nascita di nuovi bisogni e quindi di nuove vie da percorrere per soddisfarli.
Dott.ssa Sonia Petroni

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