martedì 15 novembre 2011

Terapia di gruppo a stampo gruppoanalitico





La prima domanda che mi viene posta quando propongo una terapia di gruppo è “Che cosa è una terapia di gruppo?”. Un interrogativo a cui spesso rispondo con imbarazzo dato che è per me difficile dare una risposta secca, ma sono costretto a dare lunghe spiegazioni che possono far perdere di vista le molte emozioni che si nascondono dietro quella domanda: paura del confronto, senso di abbandono, ansia ecc. Ma anche quando credo di aver dato una risposta soddisfacente senza perdere di vista quello che sta accadendo nella relazione con il mio cliente, spesso vengo messo nuovamente alla corda da una interrotta fila di domande: Perché lo propone a me? Cosa si fa in una terapia di gruppo? Come posso sopportare di sentire i problemi degli altri se ho già i miei? Perché dovrei avere dei benefici nel parlare con altri che hanno problemi anche loro, piuttosto che parlare solo con lei?
Tutte queste domande sono lecite, perché non sono solo tentativi di razionalizzare un vissuto emotivo spesso molto carico, ma esprimono anche la necessità di conoscere aspetti della psicologia che sono poco divulgati e di cui si hanno spesso notizie contradditorie e distorte. I film sono spesso le uniche occasioni nella quali si vede rappresentato un gruppo in situazioni che appaiono terapeutiche, quasi sempre in modo stereotipato e superficiale. Si fa, ad esempio, grande confusione tra i gruppi di mutuo-auto-aiuto e i gruppi di psicoterapia e all’interno di questa categoria tra la psicoterapia in gruppo, di gruppo o mediante il gruppo.
L’esempio più classico dei gruppi di mutuo-auto-aiuto è quello degli alcolisti anonimi (AA), nel quale non esiste un terapeuta, ma gli “anziani” del gruppo si preoccupano di essere dei facilitatori dell’incontro. Quanti di noi hanno in mente l’immagine degli AA e la frase rituale di apertura “Sono X e sono Y anni che non bevo”. E’ una di quelle informazioni che rimangono nella memoria collettiva, proprio perché colpisce l’aspetto rituale e quasi teatrale della presentazione attraverso il tempo di astinenza dal sintomo. Colpisce anche l’idea che il gruppo sia costituito da persone che hanno tutte lo stesso identico problema, o per meglio dire, hanno tutti lo stesso sintomo, e che la soluzione alla propria nevrosi sia la stessa di tutti gli altri presenti. Ma un gruppo terapeutico analiticamente orientato non vive di rituali, al contrario pensa, riflette ed analizza ogni aspetto del suo esistere senza dare niente come definitivo. E’ fondamentale la presenza di un terapeuta, ed ha delle regole grazie alle quali è possibile creare un clima che prima ancora dell’interpretazione sia in grado di rendere terapeutica l’esperienza. La presenza di alcune coordinate stabili serve per permettere all’esperienza di avere una cornice e mettere i contenuti del quadro in primo piano. Se la regola diventa un rituale cristallizzato e questo assorbe l’intero scambio tra i partecipanti, allora si stanno perdendo di vista i contenuti per il contenitore. Ne consegue, tra le altre cose, che non è necessario che il gruppo sia omogeneo per sintomi, anche se può costituirsi su questa base per ragioni pratiche. Può sembrare superfluo specificarlo, ma non basta che ci sia un gruppo con un obiettivo specifico ed un moderatore per definire terapeutico quello che avviene al suo interno, se fosse cosi anche una riunione di condominio o una partita di pallone potrebbe essere considerata una forma di terapia, ma dubito che chiunque di noi possa inserire il ricordo di una di esse tra gli elementi terapeutici della propria vita. Da questo punto di vista, i dubbi e le resistenze sollevate dai miei clienti, sono legittimi, avendo loro in mente questo genere di situazioni gruppali, cosa potrebbero ricavarne di buono da questa esperienza?
Il gruppo può rappresentare per gli individui un luogo investito di speranze e di minacce poiché se da un lato i singoli partecipanti possono trarre aiuto nel condividere l’esperienza con gli altri, dall’altro, consentendo di rivivere il passato nel presente, possono emergere nella relazione con gli altri sentimenti inconsci, spesso frutto del vissuto familiare individuale. Pensare in termini di gruppo, infatti, può essere sicuramente rassicurante se si pensa al sentimento di appartenenza e quindi di identità che questo evoca, ma allo stesso tempo può essere minaccioso se non addirittura angosciante, se invece ci si sofferma sul problema altamente conflittuale che sempre il gruppo pone, e cioè che per essere se stessi si deve necessariamente attraversare la possibile diversità
Proverò quindi a dare alcune indicazioni per fare chiarezza su un modello teorico che prevede la presenza in terapia di un gruppo di persone e non solo di un individuo: la gruppoanalisi. Una precisazione è obbligatoria. Ci sono molti differenti modelli terapeutici di intervento nei gruppi, ma la gruppoanalisi non è solo una tecnica di intervento, è anche una teoria della mente. La mente vista da un gruppoanalista non è quella all’interno di ogni singola testa, ma è quell’intreccio di connessioni che viene a crearsi in un gruppo e che porta ad osservare un pensiero di gruppo, comune a tutti i partecipanti e non attribuibile ad un solo pensatore. A differenza della maggior parte delle correnti teoriche nate nell’ambito individuale che si ripropongono in un contesto allargato la propria teoria della mente ed i propri strumenti di intervento (per questo definita psicoterapia in gruppo, dove il gruppo diventa il palcoscenico di molte terapia individuali), la gruppoanalisi prende come punto di partenza il gruppo e sviluppa a partire da esso la propria teoria e tecnica. Quando si denomina la psicoterapia come una forma di terapia di gruppo si sta facendo riferimento all’idea che il terapeuta possa considerare il gruppo intero come oggetto del suo intervento, infine se si parla di psicoterapia mediante il gruppo allora è tutto il gruppo, terapeuta compreso, ad essere parte attiva e destinatario del processo terapeutico. 
Il primo a parlare in questi termini fu Foulkes che definì analista come “primo paziente del gruppo” e la psicoterapia gruppoanalitica, come “una forma di psicoterapia praticata dal gruppo nei confronti del gruppo, ivi incluso il suo conduttore” (Foulkes, 1976); il compito di quest’ultimo è quello di consentire a questo processo di essere attivo, e agevolare lo sviluppo di una cultura interpretativa alla quale i partecipanti aderiscono consciamente, caratterizzata da una discussione liberamente fluttuante (ossia non canalizzata su specifici argomenti, ma resa libera di spaziare tra argomenti non linearmente collegati tra di loro) , mettendo a disposizione del gruppo la sua conoscenza, la sua esperienza e la sua istruzione come persona. Nella prospettiva gruppoanalitica, dunque, il conduttore non ha un ruolo centrale nelle dinamiche gruppali ma è uno “strumento del gruppo”.
Nella concezione di Foulkes la vera e grande importanza del gruppo risiede nella sua attitudine a diminuire la resistenza del paziente al processo terapeutico. E’ nel momento in cui il paziente si rende conto che il suo non è un problema unico che egli perde il bisogno di mantenere la segretezza e l’isolamento, ed uscire dai vari tabu che si sono andati creando intorno al suo sintomo. La situazione gruppoanalitica è da Foulkes descritta come un insieme di persone, in genere otto, che periodicamente si incontrano in presenza di un conduttore o terapeuta e che possono produrre e analizzare i propri sintomi e i propri modi di interagire, allo scopo di giungere a una risoluzione di conflitti e a forme di esistenza più adeguate e soddisfacenti, per fare ciò va rispettato: il numero dei membri, la durata e la frequenza delle sedute, il luogo del trattamento. Il fatto che il conduttore debba tenersi sullo sfondo non presuppone passività, ma deve avere come obiettivo l’analisi del gruppo e condurre lo stesso.
Foulkes introduce due concetti fondamentali, il primo è quello di rete, il secondo di matrice.

“Considero il paziente che mi sta di fronte come l’anello di una lunga catena, un punto nodale in una rete di interazione, la quale è la vera sede dei processi che portano tanto alla malattia che alla guarigione. Tutta la psicologia diverrebbe così psicologia sociale e troverebbe nel gruppo il suo naturale strumento terapeutico, confinando la psicoterapia individuale a scopi del tutto particolari” (Foulkes, 1967) 

La rete è formata da tutti quei collegamenti consci ed inconsci che vengono a crearsi tra gli individui, un intreccio di relazioni che formano la trama della nostra vita e che ne sono il sostegno ed anche il limite. In tutti i contesti esistono delle reti, siano esse di natura affettiva, economica, comunicativa ecc. Per fare degli esempi, la famiglia è una rete, cosi come lo è una comunità, un’aggregazione religiosa, o lo staff di un ufficio. Il cliente che manifesta un sintomo è, secondo questa concezione, un elemento all’interno di questa lunga sequenza di relazioni; un nodo che si è formato all’interno di questa rete e di cui è il prodotto. Ciascuna rete, a sua volta, genera una matrice, ossia un insieme di pre-concezioni consce ed inconsce di ciascun elemento rispetto agli altri membri della rete e alla rete nella sua totalità. Per esemplificarla, la matrice di una rete famigliare è l’insieme delle credenze, dei valori, del retaggio culturale, degli aspetti sociali, affettivi e comportamentali che ogni persona all’interno della famiglia attribuisce ad un altro membro della stessa famiglia ed alla famiglia nel suo insieme. Se pertanto concepiamo la possibilità che sia stata una specifica rete e la sua relativa matrice a originare un elemento di disagio all’interno dell’individuo, allora la specifica funzione terapeutica della gruppoanalisi è quella di creare una nuova rete che a sua volta generi una nuova matrice (matrice dinamica) da contrappone alla matrice personale. La situazione gruppale, costruita secondo questa teoria, costituisce un’esperienza unica nel suo genere, proprio grazie alla possibilità di essere protetta da regole che stabiliscono un confine ed una cornice al lavoro. Il gruppo, se ben condotto, costruisce una nuova rete di relazioni, dove l’altro diviene lentamente meno diverso, meno distante, meno estraneo e più manifestazione di una propria parte di sé, nel quale è possibile rispecchiarsi. Questo processo di rispecchiamento permette di guardare quelle parti che solitamente ci sono talmente vicine da non essere viste. Cosi lo descrisse un mio cliente Io sono un prisma con molte facce come le sei anche tu, a volte la mia faccia corrisponde esattamente alla tua ed io riesco a rispecchiarmi in essa, altre volte mostro un’altra sfaccettatura e sento di rispecchiarmi meglio in un altro membro del gruppo.” Alla fine tutti questi riflessi costituiscono l’intero prisma, ossia quello che in sostanza si è nella propria interezza. Il gruppo gruppoanalitico genera una sua propria matrice, un sistema di riferimento interno, una sua cultura di gruppo, una pensare di gruppo. L’essere immersi in una nuova rete, con una nuova matrice, diversa da quella disfunzionale che ha creato il disagio, diviene allora un’esperienza “correttiva” e terapeutica.
Per concludere vorrei sottolineare che i requisiti per essere adatti ad una psicoterapia gruppoanalitica sono quasi del tutto sovrapponibili a quelli necessari per un trattamento dinamico individuale (tra cui ricordo: una forte motivazione, la capacità di reggere le frustrazioni, la capacità di insight, intelligenza nella media) ma i tempi sono spesso molto più ridotti di un percorso psicoanalitico.

S.H.Foulkes (1976) La psicoterapia gruppoanalitica, Astrolabio, Roma

S.H.Foulkes (1967) Analisi terapeutica di gruppo, Boringhieri, Torino

Dott. Alessandro Monno